La plastica ha invaso il mondo: da quello terrestre a quello marino, tanto che ora ci si sta preoccupando seriamente su come fare lo smaltimento.
La troviamo dappertutto e per le sue specifiche chimiche è quasi indistruttibile a meno di bruciarla o incenerirla. Ormai tutti sono consapevoli che servono soluzioni diverse rispetto l’uso della plastica che nella sua vita d’uso è spesso un semplice involucro o un contenitore da buttare come rifiuto.
Molti Comuni italiani quindi hanno deciso di abbandonare la plastica seguendo l’onda del PLASTIC FREE con ordinanze e indicazioni positive per diminuire sul territorio l’uso dei materiali monouso.
Fin qui siamo tutti d’accordo e le tecnologie ci vengono a supporto con la creazione di prodotti “usa e getta” compostabili, che derivano dalle bioingegnerie realizzate in mais, “Mater Bi”, “PLA” o polpa di cellulosa.
Si hanno così piatti, bicchieri, sacchetti, bicchieri in biomateriali che sono in grado di decomporsi nel tempo.
L’utilizzo di questi materiali, sommati all’acquisto di beni di consumo che riducono la presenza di contenitori di plastica ci dovrebbe permettere di ridurre progressivamente il grave impatto inquinante dei prodotti derivati dal petrolio.
Però c’è da chiedersi se il “migliore rifiuto” è quello che non si produce e le “migliori ordinanze” sono quelle in cui si sostituisce la plastica con borracce, bicchieri e stoviglie riutilizzabili prevenendo o riducendo il rifiuto.
Non si dovrebbe mettere al primo posto la prevenzione e il riuso tra le azioni prioritarie da intraprendere in quanto ambientalmente preferibili? Se partiamo invece dalla scelta del materiale con cui realizzare un prodotto usa e getta equivale a perdere una battaglia senza combatterla e accettare il rifiuto come una fatalità.
Ci sono mille soluzioni ormai applicate in molte parti d’Europa per incentivare l’uso delle stoviglie riutilizzabili come ad Amsterdam in Olanda che vieta tutti i tipi di bicchieri usa e getta per eventi sul suolo pubblico ad inizio anno e permette solamente le versioni riutilizzabili e sempre in Olanda sono attive da anni diverse aziende che si occupano del servizio di noleggio e gestione di bicchieri chiavi in mano per tutte le occasioni.
Attualmente, siccome tutto sommato, costa meno cambiare materiale monouso rispetto al doversi organizzare per gestire manufatti riutilizzabili si tende ad utilizzare usa e getta per motivi di comodità, più che di mancanza di alternative nella maggioranza dei casi.
Scegliendo quindi la via più comoda si preferisce in Italia rispondere alle esigenze di cittadini, enti, aziende così come gli organizzatori di eventi collettivi diffusi sul territorio (sagre, fiere, ricorrenze, kermesse sportive ecc..) a utilizzare stoviglie (piatti, posate, bicchieri) in materiale completamente biodegradabile e compostabile con cui si realizzano soluzioni e prodotti a ridotto impatto ambientale.
La stessa Regione Veneto, con la legge n. 25 del 11 novembre 2011 (“Interventi regionali per la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti da attività di ristorazione presso mense, feste e sagre”) ha fissato tra i propri interventi, anche in termini di stanziamento di contributi, quello di “sostenere alcune misure che prevengano alla fonte la produzione e lo smaltimento finale in discarica o per incenerimento, di quei rifiuti solidi urbani rappresentati dalle stoviglie monouso in materiale plastico.
Purtroppo un conto è il dire, un conto è la possibilità di fare.
La plastica monouso compostabile, anche se può essere smaltita nell’umido sono di difficile trattamento per le difficoltà di trattare il materiale compostabile negli impianti industriali con la conseguente necessità di rimuovere tutti gli oggetti “dall’aspetto plastico” dal flusso dei rifiuti organici.
“Di fronte a questa crescita della cultura „plastic free‟, il Veneto si ritrova impreparato”. A dirlo la consigliera regionale di Civica per il Veneto, Cristina Guarda, e il consigliere del Partito Democratico, Andrea Zanoni, che sul tema hanno presentato un’interrogazione.
L’esponente berica riporta l’esempio di quanto sta accadendo nell’alto vicentino, dove “gli impianti non riescono a processare questi materiali come rifiuto umido, nonostante siano compostabili. Questi scarti vengono quindi trattati come frazione estranea all’umido e tornano ad impianti di smaltimento come il termovalorizzatore o la discarica”. Di qui la considerazione dei consiglieri sul fatto che “siamo di fronte ad un problema che coinvolge tutto il territorio veneto ed esige un intervento di scala regionale”. I consiglieri chiedono dunque alla Giunta regionale “se verrà redatta una mappatura degli impianti di trattamento che necessitano di un adeguamento ai materiali biodegradabili e compostabili e quali misure verranno adottate per risolvere questa carenza strutturale che vanifica il positivo sforzo a favore dell‟ambiente che sta venendo da tanti cittadini”.
“Il problema riguarda tutta Italia”, spiega sul Giornale di Vicenza del 19 ottobre scorso il presidente di Alto Vicentino Ambiente. “Molti impianti non riescono a processare questi materiali come rifiuto umido, nonostante siano compostabili. Questi scarti vengono quindi trattati come frazione estranea all’umido e tornano ad impianti di smaltimento come il termovalorizzatore o la discarica. Abbiamo già avviato l’iter necessario per arrivare nel tempo più breve possibile alle modifiche dei nostri impianti”
“Siamo di fronte ad un problema che coinvolge tutto il territorio veneto ed esige un intervento di scala regionale” concludono Guarda e Zanoni.
A questa denuncia dei consiglieri regionali si potrebbe anche affermare che si sta vanificando, senza la presenza di impianti idonei al trattamento dei rifiuti plastici biocompostabili, lo sforzo pure economico di moltissimi cittadini per rendere il proprio territorio più ecosostenibile.
Speriamo che anche l’Italia in fase di recepimento della direttiva sui rifiuti da imballaggio, parte del pacchetto economia circolare, si ispiri alla Svezia. Il governo svedese ha incaricato l’EPA Enviroment Protection Agency di lavorare ad una proposta che fissi degli obiettivi di riduzione dello spreco di cibo ma anche di riuso per il packaging obbligatori per legge.
– C’è ancora qualche “poveretto” che una la parola termovalorizzatore purtroppo. Dovrebbe andare a far cambio di abitazione con i residenti di Schio o di Fusina dove sono sempre in funzione gli inceneritori cancrogeni.
– Ci sono tanti “poveri” imprenditori che non riescono a capire che se producono materiali (soprattutto imballaggi) con plastica e carta insieme, NON si può Riciclare; eppure basterebbero 3 neuroni attivi.
– Ci sono poi i cittadini “sveglioni” che buttano la plastica sporca di tutto l’immaginabile, nella plastica, rendendola indifferenziata, da incenerire o da riempire le discariche percolanti cancro, come quella di Grumolo !!
Ma siamo in itaglia, con gli itagliani !!
Poi i colpevoli sono gli immigrati,
che sono stati fatti arrivare dai prenditori, per sfruttarli, e poi fanno finta che la colpa dei bassi salari degli itagliani “zè colpa dei imigrati”.
Le colpe sono sempre degli altri, mai dei politicanti a 15-20.000 al mese !!