Il problema della plastica è inderogabile: questi materiali che hanno diverse strutture molecolari coese hanno una vita media calcolata in almeno 450 anni, un’età così lunga di decomposizione che con il ritmo di consumo mondiale stanno progressivamente avvelenando il pianeta.
Senza entrare nella profondità della storia dei polimeri che parte addirittura nel 19° secolo con l’invenzione del primo materiale plastico semisintetico, che l’inglese Alexander Parkes, sviluppando gli studi sul nitrato di cellulosa battezza Parkesine (più nota poi come Xylonite) si deve ad Alessandro Natta l’invenzione nel 1954 del Polipropilene isotattico, a coronamento degli studi sui catalizzatori di polimerizzazione dell’etilene che gli varranno nel 1963 il Premio Nobel insieme al Tedesco Karl Ziegler, che l’anno precedente aveva isolato il polietilene.
Si apre così un mondo di nuovi prodotti tecnicamente leggeri ed indistruttibili e duttili dal punto di vista del design, ma che hanno portato in pochi decenni ad invadere letteralmente il mondo di rifiuti difficili da smaltire e trattare.
In 40 anni c’è stato un aumento del 20.000% passata dai due milioni di tonnellate del 1955 ai quasi 400 del 2015. Ancora più curioso notare che nel 1963 la cifra era di circa 18 milioni. La crescita esponenziale ci fu a partire dagli anni 80. Milioni di tonnellate di cui parliamo (i dati sono riportati in un’inchiesta del Guardian alla fine del 2018) stanno sommergendo le terre che abitiamo e, forse ancora più grave, stanno stravolgendo fiumi, laghi e mari, con conseguenze catastrofiche sui relativi ecosistemi.
La plastica, in tutte le sue derivazioni sia chimiche che fisiche è sicuramente insostituibile per tutte le innovazioni che ci consente di sperimentare e rendere più confortevole la nostra vita, ma non possiamo più pensare che si possa abusarne con utilizzi sconsiderati come i packaging, le stoviglie usa e getta, i contenitori di liquidi e altri materiali che una volta terminano la loro breve vita di oggetto utile diventa solo uno scarto che si deve gettare da qualche parte, o in discariche, o negli inceneritori o semplicemente ovunque come si osserva girando a piedi per le strade.
I mari sono ormai diventati la pattumiera di questi oggetti che uccidono la fauna marina -vedi balene morte per ingestione di quintali di plastiche, tartarughe soffocate da sacchetti, pesci impigliati tra l’immondizia-.
Questi prodotti infine riducendosi a pezzettini nell’arco di decenni entrano nel nostro ciclo alimentare attraverso le carni dei bovini e delle specie ittiche portando anche noi verso un lento avvelenamento.
Si sta parlando di nuovi prodotti plastici eco-sostenibili come tutte quelle bio-compostabili, ma prima che arrivino ad essere prodotti di largo consumo ancora la strada è tanta. La prima svolta comunque è avvenuta con l’introduzione dei sacchheetti bio compostabili quando però la politica ha messo al bando quelli di plastica dura.
Non possiamo più attendere: servono azioni concrete. Stiamo parlando finalmente di riduzione e di riciclo – la cosidetta economia circolare- con leggi che danno ai rifiuti il valore di materie prime secondarie. La strada da fare per arrivare al completo ciclo di ritrasformazione dei materiali plastici rimane ancora lunga: servono integrazioni normative che si adattano alle nuove tecnologie industriali e una politica più attenta al progresso innovativo sommata a una educazione degli stili di vita più sostenibili.
Forse in Italia parlare di tassare la plastica è ancora un tabù. A Palazzo Chigi si sta discutendo l’introduzione della Plastic Tax, osteggiata dall’ostruzionismo di Italia Viva che adduce una penalizzazione delle industrie portando un depauperamento delle forze lavoro. Altre forze politiche invece difendono il provvedimento affermando che si avvantaggiano solo le multinazionali che hanno sede in altri Stati.
E’ l’ipocrisia della politica italiana: si dice di voler salvare il mondo e si applaude alle iniziative Plastic Zero Waste, ma poi nei fatti si lascia tutto com’è nel modo gattopardesco di ragionare per interessi e non per il bene comune.
Rimane perciò attuare le buone pratiche dei cittadini e delle comunità che si muovono per ridurre la plastica “usa e getta.
Lo fanno le scuole come il liceo Quadri di Vicenza che ha abolito tutta la plastica in istituto sostituendo i contenitori polimerici con borracce in metallo e bicchierini in carta, lo fa anche il gruppo Escursionisti di Marano vicentino GEM che si è dotato di bicchieri di metallo per le loro passeggiate ecologiche, diventando ufficialmente un’associazione “plastic free”.
Questa l’idea presentata dal presidente, Roberto Ferrari, e dal consiglio di presidenza dell’associazione, all’assessore all’Ambiente del Comune di Marano, Alessandra Cavedon: sostituire i bicchieri, le bottiglie e gli utensili usa e getta usati nei momenti di convivialità alla fine delle escursioni e in sede con materiali durevoli come l’acciaio e il vetro.