Gli italiani si presentano come un popolo di utenti iperconnessi. Il 67% ammette di possedere uno smartphone, con un dato che supera quindi la diffusione di altri dispositivi come computer portatili, computer fissi e molto altro ancora. Se quindi il cellulare è ormai una realtà che tutti abitualmente usiamo magari non sappiamo che il dispositivo nasconde un tesoro fatto di metalli rari e preziosissimi difficili da reperire in natura. Stiamo parlando di indio, platino, oro, tantalio ma anche di cromo, tungsteno e mercurio: metalli che vengono estratti da tonnellate e tonnellate di minerali estratti in Paesi come nel Congo in luoghi dove non c’è nessuna sicurezza e nessun principio di legalità. Serve quindi avviare un serio programma di riciclo dei telefonini usati per recuperare i metalli preziosi inseriti negli apparecchi per il loro funzionamento. Lo dice la ricerca della Yale School of Forestry & Environmental Studies secondo cui “alcuni metalli sono disponibili quasi interamente come sottoprodotto. Non si possono estrarre appositamente ed esistono in piccole quantità”, spiega Thomas Graedel, autore del rapporto pubblicato su Pnas, (Proceedings of the National Academy of Sciences) una delle riviste scientifiche più note a livello internazionale. Per gallio e selenio c’è un rischio di disponibilità, ad esempio, mentre per cromo, niobio e tungsteno ci sono dei limiti normativi d’approvvigionamento. L’estrazione di oro, mercurio e metalli del gruppo del platino, invece, ha le maggiori implicazioni in termini ambientali. Nel quadro entrano anche fattori geopolitici: il 90-95% delle terre rare usate nel mondo viene dalla Cina, e buona parte del tantalio usato in elettronica proviene dal Congo che è politicamente instabile. Quanto all’indio, presente nei display di pc e smartphone, mancano dei sostituti adeguati. La soluzione è dunque riciclare. “Molto di ciò che rende difficile il riciclo di questi materiali è il design dei dispositivi”, spiega Graedel. “I risultati dello studio inviano un messaggio ai progettisti: dedicate più tempo a pensare a cosa accade quando i vostri prodotti vengono gettati via”